venerdì, marzo 30, 2007

I reality hanno rotto

Con i reality la tv sembra aver imboccato una strada senza uscita. A far traboccare il vaso è stato probabilmente "Un due tre stalla".
Sulla Stampa di oggi c'è un titolo straordinario che riassume i desideri del volgo ribelle al trash.

"Reality, sciò"

martedì, marzo 13, 2007

Dedicato alla moglie di Michelle Houellebecq (se ce l'ha)

Sono poche le notti in cui mi soffermo a pensare, tante quelle in cui galleggio. Prima di addormentarmi mi porto dietro il ricordo di una giornata e mi rallegrano i passi, lontani, dei progetti in divenire. Con questo slancio mi accovaccio sul guanciale e passo il testimone alla notte, maestra e padrona. In un sogno mangio aragoste a fianco alla mia amata. Sto per dirglielo, rompere gli indugi, rinunciare a un incantesimo. Trattengo il fiato e parto, spedito come un pesce in un fiume d’acqua dolce, quieto come un gatto che tradisce di giorno. Le racconto del mio amore alle particelle, del mio stato di sognatore, che una candela ammicca, smodata, per lei. Il fiato, raggomitolato in una sottile speranza, si erge vispo dopo le prime parole. E i pensieri, in fila e in crocchia, si dispongono medicamentosi al mio cenno di schierarsi. Le parlo, con enfasi ruggente, che quello che accade è mite dipanarsi di un rovello, che è una questione di tutto o niente, che le passeggiate son rubizze scorribande toponomastiche senza lei, e che le notti sono incestuosi scherzi con il tempo quando la sua pelle di velluto non respira sulle lenzuola. Le spiego, che il tempo e i saggi lo avevano predetto. Un bastone vicino a un fuoco che illumina una ruminante barba bianca. Vorrei stringerla, serpenti che si intrecciano, e portarla al mio passo, in una torre d’avorio. Amarla e raccontarle che la pace nel mondo esiste. Esuli stinti tutti gli altri poveri illusi. Vorrei recitarle Shakespeare e rapirla. Parlo, parlo. La vita è un origamo che sta nel cielo. La vera felicità consiste nel conoscersi così bene da ricoprirne fedelmente le orme.

Ciao

Glossario: determinismo (bozza 34, ciak)

Glabre, canute. Stanche. Gialli occhi che faticavano a seguire il secco percorso dei loro sali che, perle sulla fronte, si spegnevano dopo un metro, dabbasso, sull’asfalto rovente. Un bastone e una sedia, materiale stinto di inizio secolo, come le loro vite, sparse adesso in altri Paesi, mentre a loro, protagoniste in dissolvenza, restava la triste parata dell’hic et nunc.
Quella mattina, la radio di San Crispino dava le temperature: 45 gradi. Non aveva mai fatto così tanto caldo là, in quell’involucro tra le colline di Lanzarote e la pianura del Saliceto.
Donna Maria parlò, a voce bassa, le labbra digrignate dal tempo e i suoi 15 denti, compagni di banco di quell’ultima parata: “Marco e Priamo prego per voi”. Si rivolgeva, bizzosa, ai suoi due nipotini che da tempo non andavano più a farle visita e che quell’estate non avevano rinunciato a nemmeno una serata nelle discoteche del Pressano per fare un salto in quel paesaccio dove erano pasciuti, a carezzare le gote vizze della nonna.
Dirimpetto, con quattro occhietti vispi, echeggiava Renata, la battezzante di Priamo: “Fin qui su..fin qui là”. Una folata di afa trasportava quel suono fino a Donna Carla, smarrendolo. Questa, taciturna, non aveva l’aria di pensare ad alcunché, beava in una frottola che qualche figlio, anni fa, le aveva raccontato. Gli scienziati erano vicini all’elisir della vita, una pozione che rigenerasse i tessuti e mandasse in pensione comara Morte.
Nulla sembrava spaventare le astanti di via Guitti, in quel paesello di 500 anime, mentre il sindaco festeggiava ad Ibiza il nuovo mandato.

domenica, marzo 11, 2007

Chicca dal Naviglio Grande

"A questo punto prendo il whisky armeno".

Giulia