lunedì, dicembre 19, 2005

William Gates, storia di un filantropo che ama la caccia

Bill Gates è l'uomo dell'anno 2005. Come manager e come filantropo. Il fondatore di Microsoft ha ottenuto l'ennesimo riconoscimento della sua carriera nei giorni scorsi dalla rivista Time. Per la beneficenza William Gates condivide il premio con la moglie Melinda e con il cantante degli U2, Bono, molto attivo sul fronte umanitario.
Gates è senza dubbio un lottatore. La sua Microsoft è la terza società mondiale in termini di capitalizzazione borsistica (256 miliardi di dollari), preceduta solo da colossi come General Electric (322) ed Exon Mobile (320). Domina il mercato del software per case e aziende, sostanzialmente un monopolio. Il segreto di Gates è attaccare gli avversari con tenacia, anche se le previsioni lo danno sconfitto. Nessuno, più di venti anni fa, avrebbe infatti immaginato che uno studente avrebbe fatto le scarpe ad un gigante del calibro della Ibm, tantomeno che qualche anno dopo nove pc user del mondo avrebbero utilizzato il sistema operativo messo a punto da quel giovane studente. Eppure, eccoci qua, nel villaggio globale disegnato da Microsoft.

Nel nuovo millennio il vecchio Gates, molto più ricco e maturo, continua a lanciare sfide, prima a se stesso e poi al mercato. Il primo obiettivo è scavalcare Sony nel mercato dei videogiochi, il secondo è scalzare Google nella ricerca del web. I numeri danno ragione, al momento, agli scettici. Sony ha venduto più di 80 milioni di Ps2 nel mondo contro i 20 di Xbox di Microsoft. Al di là del mercato statunitense ci sono alcuni mercati europei che danno l'idea di quanto sia difficile l'imperativo posto dai piani alti di Redmond (disposti a perdere anche 150 euro a console pur di conquistare masse di videogamer). Osservando l'esempio italiano infatti, si può notare che la Xbox, tanto decantata per le sue specifiche tecniche, detiene il 9% di quota di mercato contro l'80% di Sony. Un abisso, paragonabile a quello che divide oggi Internet Explorer dalla volpe Open source Firefox.

Anche sull'altro versante, quello della ricerca nel web il divario rispetto al rivale è netto. Google ha il 57% del mercato, Yahoo il 22%, Microsoft l'11%. E Google sta per comprare il 5% di Aol per impedire proprio alla compagnia di Gates di conquistare il 6% del mercato pubblicitario del web in mano al provider statunintese.

Chiunque a questo punto avrebbe alzato bandiera bianca. Ma, dietro quegli occhi da filantropo, Gates nasconde un animo da predatore. E chi lo conosce bene sa che nella giungla è cominciato l'inseguimento. Anche se, questa volta, le prede hanno più fame del leone.

Internet, il posto più glocal del paese Terra

Internet è un medium che stravolge le teorie della comunicazione. Al pari dei suoi predecessori viene visto dagli inserzionisti come un nuovo canale per veicolare messaggi pubblicitari. Tuttavia, a differenza dei suoi predecessori, non è in mano a poche mani, ma è di tutti. E questa differenza, insita nel mezzo, rende Internet il primo medium realmente partecipativo della storia.

Il successo dei blog (34 milioni secondo le ultime rilevazioni di Technorati) e di iniziative come Wikipedia (l’enciclopedia libera che conta più di 900.000 articoli in 52 lingue e dialetti diversi) sono un assaggio delle potenzialità democratiche della Rete. Il mondo della tripla W è così l’involucro dell’intelligenza collettiva di Pierre Levy. Una piattaforma comune dove tutti hanno la possibilità di esprimersi, dove la tradizione invade il trend. Internet è, in sostanza, il posto più glocal del paese Terra.

Dopo cinque anni di selezione naturale la Rete cambio volto. Il Web 2.0, come gli integrati hanno già etichettato la nuova nascente fase, rappresenta il gradino evoluto della Rete. Dopo un periodo iniziale di alfabetizzazione, le masse stanno prendendo coscienza del mezzo. La Rete è infatti divenuta scrivibile, condivisa, partecipata, alla portata (quasi) di tutti.

Entriamo quindi nella fase in cui, a fianco a pochi nomi che trainano il business del medium, il messaggio appartiene al popolo. Entriamo nell’era delle community, dei social network.

E’ importante quindi che gli attori del web si conformino a un codice etico e che i leader, più che potere esercitino autorità. Solo in questo modo gli utenti possono fidarsi di una democrazia che non prevede elezioni ma fondata sul controllo

mercoledì, dicembre 14, 2005

Purity

Maria aveva un rosario bianco, così bianco che se le fosse caduto nella neve si sarebbe perso per sempre

John Fante Aspetta primavera, Bandini

martedì, dicembre 13, 2005

Milanoooo!!

13 dicembre. Santa Lucia. Mia sorella Rita è partita per gli Stati Uniti a festeggiare le nozze. E Luigia ha promesso che verrà a trovare me e polpetta di patan'fiore a Milanooooo!!

p.s. ho comprato Piattaforma di Houellebecq...dopo la "Possibilità di un'isola" era davvero il minimo che potessi fare

smack smack by Gigia che gareggia con Ileana a chi è più matta!
claps claps claps claps

lunedì, dicembre 12, 2005

Squilla Google

La partita a scacchi è cominciata. Google ha portato avanti un pedone per liberare campo nell'assalto al Re. Questa volta la fortezza da conquistare è una fetta del business della telefonia mobile. Nell'era della crossmedialità tutto è lecito. Fatto sta che il motore di ricerca più noto della Rete ha lanciato un servizio che permette di inviare Sms a chi ha bisogno di informazioni ma, in un dato momento, non ha la possibilità di collegarsi a Internet. In sostanza Google Send to Phone, questo il nome del servizio, fa al caso di chi si trova fuori casa o ufficio e chiede a qualcuno di trovargli una informazione o un indirizzo su Internet. La novità consiste nel fatto che il messaggio di risposta di chi è in possesso dell'informazione richiesta può essere inviato via Sms direttamente da Google, facilitando la comunicazione tra i due individui.

Il servizio, disponibile al momento solo negli Stati Uniti (ma nelle intenzioni della società di Mountain View è prevista a breve un'estensione anche in Europa) gira solo su Firefox, installato su Windows o Macintosh non fa differenza. E, nel mondo dell'It, sta a significare due cose:

1) dopo l'ingresso nel Voip con Google Talk, il motore di ricerca bussa alla anche alla porta della telefonia mobile;

2) con questa mossa, oltre a sperare di rimpolpare il fatturato di 3 miliardi di dollari e la capitalizzazione in Borsa di 100, Larry Page e Sergey Brin cercano anche di indebolire un diretto avversario nel pianeta della web-ricerca, Microsoft, rendendo incompatibile il servizio con il browser Internet Explorer di Bill Gates. Insomma, da certe parti, niente è lasciato al caso.

sabato, dicembre 10, 2005

Backup

Tulipani in abito da sera
accarezzati dalla brina
scrutano il passo di un uomo
al chiaro di luna.

Un lento adagiarsi su una panca
per scacciare il bieco
dopo la chiusura della bottega d'argento.

Natura che illumina
un pezzo di pane
ricordi che scorrono
nel fruscio di un prato.

Indiani a braccetto
perle, fossili, numeri inascoltati.

Ti prenderei per mano
verso l'ultimo sigillo
ciclone d'Oriente.

Ascolterei i suoni
lontano dai bordi
per rifiorire, angelo,
tra le steppe.

venerdì, dicembre 09, 2005

Giapponesi come il dio Giano


Microsoft lo sa. Il suo tallone d'Achille è il mercato giapponese. Nella preziosa industria dei videogame (un giro d'affari annuo stimato in 25 miliardi di dollari) la Xbox 360 è chiamata a superare la difficile prova a mandorla per il suo ultimo esame, il debutto, fissato per il 10 dicembre, nell'isola asiatica.

In terra nipponica la Xbox è un ospite, peraltro non troppo gradito dai padroni di casa. I numeri lo dimostrano. La Playstation 2 ha l'80% del mercato, Gamecube il 15%. A Microsoft resta un magro osso da spolpare.

Un divario così netto non è dovuto soltanto al ritardo con cui la società di Redmond ha fatto il suo ingresso nel comparto del joystick (due anni dopo la Ps2 e sei mesi dopo Gamecube) ma, soprattutto, a un fattore antropologico. I giapponesi sono noti al mondo per essere un popolo bifronte. Da un lato ispirati a un forte senso nazionale, dall'altro attratti dalla moda e i fasti dell'Occidente. Se quindi per comprare un abito o un paio di pantoloni sono disposti a sfidare il proprio patriottismo, quando si parla di videogame la storia cambia. Non è necessario chiedere un permesso speciale all'Imperatore perché le console fatte in casa, essendo diventate dei must anche a Ponente, esaudiscono a pieno il doppio desiderio del popolo del Sol Levante.

Per quale motivo, allora, rinunciare ai valori nazionali scegliendo un prodotto made in Usa quando giocare alla Playstation (dai 15 ai 60 anni) o al Gamecube (dai 6 ai 14 anni) significa sentirsi a casa e, allo stesso tempo, provare il brivido inconscio di unirsi al mito dell'Occidente?

Più che lavorare su specifiche tecniche (la Xbox 360 giapponese differisce rispetto a quella americana), e su maxi spot (nei giorni scorsi per le strade di Sapporo, Nagoya, Osaka e Fukuoka è apparsa una Xbox 360 gigantesca con mega schermo che mostra i trailer dei giochi in uscita) Microsoft dovrà quindi prima di tutto risolvere questo dilemma, irrompere nel meccanismo che unisce tradizione e futuro, Samurai e Dolce & Gabbana.

Che sia una sfida delicata lo sanno bene anche i marketing manager della fabbrica di Redmond che, forti dell'esperienza maturata con il lancio della prima Xbox, in questo week end non si aspettano certo il tutto esaurito (come invece è accaduto negli Stati Uniti e in Europa) e affrontano la transvolata sul Pacifico con un po' di piombo nelle scarpe.

giovedì, dicembre 08, 2005

Scene belle


Domani è un altro giorno!
Ma intanto mi godo questo periodo, con figli, parenti, papà, mamme e padroni.
Il master è finito e la combriccola tornerà presto a colpire. Da qualche altra parte. Ne sono certo.

Apple, quando il marketing è un virus


Apple, la storia che non si ripete. Data per spacciata, condannata a raccogliere le briciole del mercato dell'hardware, la Mela ha reinventato la propria storia inaugurando una nuova epoca. Prendendosi i suoi rischi la società ha investito nella ricerca con la stessa filosofia del passato ma con una carica del tutto nuova. Così, nelle praterie di Cupertino è sbocciato un fiore che nell'anno in corso ha generato un fatturato di 4,5 miliardi di dollari.

Un gadget grazie al quale Steve Jobs è riuscito a scoccare per la prima volta le due frecce preferite del suo arco (design e tecnologia) al servizio però, questa volta, delle masse. Partendo da una nicchia. Un progetto rimasto incompiuto con i vari Mac (rimasti un fenomeno sostanzialmente di nicchia).

E' questo il successo del fenomeno iPod che impazza ora anche in Italia (è tra gli oggetti del desiderio del Natale 2005). Un gingillo elettronico ormai iperclonato dalla concorrenza (vedere Creative e perfino Hp) ma che resiste agli attacchi (oltre il 70% della quota di mercato mondiale nel comparto lettori multimediali). E questa volta Microsoft non sembra in grado di rovinare la festa (il Windows Mobile Center è poca cosa in confronto).

Steve Jobs si sta muovendo bene. Nel 2005 ha investito 287 milioni di dollari in pubblicità, il 40% in più rispetto a un anno fa. Molto meno però di quanto spendono ogni anno colossi come General Motors e Ford (per citare qualche nome) i cui investimenti in pubblicità si aggirano nell'ordine di miliardi di dollari.

La verà forza di Apple è il passaparola. Dal Giappone agli Stati Uniti, dall'Australia al Vecchio Continente, Jobs trae vantaggio dalla gente, il più potente virus che il marketing abbia mai creato. E il più letale, per gli avversari.

lunedì, dicembre 05, 2005

Google, la "cattiva" della new economy

Prima o poi tocca a tutti i primi della classe. Subire gli attacchi dei nemici, di chi è indietro. Invidiosi che puntano a intaccare la reputazione del sornione avversario. E' la parabola di Google, recentemente dipinta sempre più spesso sulla stampa come la nuova "cattiva" della new economy. L'aggressività con cui si muove la società di Mountain View con l'intento di colonizzare il mondo virtuale di Internet regge il vecchio paragone con i tempestosi anni dell'ascesa di Microsoft, la prima ad essersi guadagnata la reputazione di "cattiva".

Sotto accusa, secondo i maldicenti, sarebbe la voracità con cui gli studenti Larry Page e Sergei Brin si muovono nell'Eldorado del web. Un'onda durto devastante che lascia poco margine alla concorrenza e, anzi, ogni giorno entra in nuovi comparti cercando di traghettare la propria massima critica su altre sponde (l'ultima novità della serie è il Google Base per le aste online).

Ma in realtà, i nemici, gli invidiosi, come ogni buona critica che si rispetti, non fanno altro che ammettere la superiorità attuale del rivale che ha saputo muoversi con tempi di mercato perfetti e oggi, a detta degli esperti hi-tech, viaggia nel settore della ricerca con quasi un anno di vantaggio rispetto ai competitor.

I numeri li conosciamo già ma forse vale la pena di ricordarli. Lo scorso anno la società ha fatturato più di 3 miliardi di dollari. In Borsa ne vale più di 100 ed è in termine di capitalizzazione la 27esima società al mondo. Un dato entusiasmante se si considera che la quotazione al Nasdaq è arrivata appena 16 mesi fa. Titanica, la rotta di Google può però incontrare un grosso iceberg nel suo serico viaggio. Il 99% del giro d'affari della società deriva dagli introiti della pubblicità online, dal pay per click. Un business anelastico che contravviene a una delle più importanti, e più semplici, leggi della finanza: la diversificazione delle attività e, di conseguenza, dei rischi. Un punto debole su cui, in quella fabbrica da dieci assunzioni al giorno, farebbero bene a interrogarsi.