martedì, agosto 15, 2006

Aladino $$

La tecnologia è il genietto che il capitalismo ha fatto uscire dalla bottiglia: da allora si è sempre rifiutato di rientravi.

Lester Thurow

lunedì, agosto 14, 2006

Gli spammer perdono il pelo?

Emotion email. La posta elettronica ha eguagliato il fascino delle lettere postali. Certo, un messaggio elettronico non ha il profumo della carta, dell'inchiostro e della persona che ce lo ha inviato. Ma lo strumento in sé amplia la portabilità dei contatti, la sfera sociale. E questo è un fascino che può compensare quanto a sensazioni l'efficacia romantica di un odore di pino. Così, a fatica, criticata e bistrattata l'email ha conquistato un posto anche tra i passionali, i gentiloni, quelli che con le parole riescono a provare empatia e suggestione. Una battaglia durata almeno un lustro di scetticiscmo.

Ma il futuro della posta elettronica non è così roseo, a dispetto della rubiconda vittoria. Agli antipodi, tra il bene e il male, tra materia e antimateria, tra sacro e profano, ci sono anche nel nuovo mondo della posta elettronica le due figure che debbono rivaleggiare per natura presa. Da un lato il romantico, dall'altro lo spammer.

Del primo abbiamo già detto. Ne va aggiunto che quando fa un check-in alla sua casella, la mattina appena sveglio o in tarda serata prima di dormire, avverte uno strano palpitio al cuore. Del secondo, ne andiamo a raccontare ora. Giovane quanto il suo rivale, con qualche capello in meno (a causa delle ore passate al computer e della strana legge della fisica che fa aumentare le probabilità di canizie agli hackers) e molto più cattivo. Un edonista, uno che ha scelto di stare dall'altra parte. Per fare un mucchio di soldi sulle spalle, sul tempo e sulle emozioni altrui. Non è un lavoro, quanto più la tossica applicazione di una formula statistica. Perché in pochissimi abboccano alle sue email, in pochi approdano sui link che ivi propone, in poco più che pochi memorizzano subdolamente la marca contenuta nel messaggio.

E' un mestiere sporco, ma quache spammer doveva pur farlo. Anche perché dagli Stati Uniti all'Europa le misure antispam lasciano ancora a desiderare (avete avvertito un trend calante delle email indesiderate nella vostra casella negli ultimi due anni?).

Sta di fatto che dopo anni di duro lavoro, notti insonni e birre lasciate a metà, anche il Belzebù della posta elettronica pare stia accusando segnali di stanchezza. Lo dimostrano i numerosi messaggi vuoti che accompagnano quelli "full" di sciocchezze. Lo dimostrano quelle email dove accanto al testo inglese (in molti casi scopiazzato dai più grandi successi della lettera anglo-americana) manca la parte pubblicitaria. Due segnali di una probabile sbandata e di una crisi creativa.

Di tempo per gioire e sperare che l'email torni al mezzo concepito trenta anni fa piuttosto che un zigzagare tra frasi reali e ambigui sponsor non ce n'è molto però. Perché il Wall Street Journal ha una spiegazione al fenomeno: trattasi di email civetta, vale a dire messaggi creati ad arte per saturare i filtri anti-spam e confonderli su quali mail siano legittime e quali no, prima della prossima ondata di pubblicità non richiesta.

A noi piace pensare che la testata abbia torto e tra le migliaia di "ipotesi spazzatura" che potremmo fare c'è anche quella che lo spammer, quel vizioso diabolico di uno spammer, stia perdendo il pelo.

sabato, agosto 12, 2006

Il senso dell'hi-tech

C'era un tempo in cui gli apocalittici erano uniti in un esercito compatto, forte, trincerato dietro un : "Odio tutto ciò che è elettronico e non ne farò mai uso". Gli apocalittici erano ovunque. Al bar, nel pianerottolo sotto casa, in biblioteca e persino nei licei. Con il loro obiettare radical chic l'utilità delle tecnologie ne prostravano l'efficacia cercando un vano proselitismo.

Internet? E' una gabbia per matti. Il cellulare? Uno spazza sentimenti, una nuvola elettronica che annienta la vita privata. Bla Bla. Gli apocalittici son sempre esistiti. In qualunque era. Dai tempi di Avignone in cui la nobiltà romana criticava l'esuberanza intelletuale e agnostica dei francesi fino agli ultimi esuli partigiani oppositori della tv a colori, spuntata nelle nostre case a fine anni '70.

Per contro gli integrati non sono meno estroversi e pretenziosi. Il loro limite è di essere entrati talmente in simbiosi con il simulacro cibernetico del nuovo millennio da ignorare, o considerare profano e inutile, chiunque non abbia compiuto la loro scelta d' avanguardia!

Non possono fare a meno di controllare la propria email due volte al giorno. Parlano al telefonino con l'auricolare e preferiscono cambiare operatore piuttosto che l'abito da sera. Sono attanti di un ascolto disidratante di mp3, di uno scatto digitale ovunque essi siano. Per immortalare torniti sconosciuti o insegne rotte. Per farne lo sfondo del proprio desktop per pochi giorni. Fino al prossimo downlaod on air. Convinti sostenitori dell'aria condizionata.

Ma tra le due sponde, chi sta meglio? Gli apocalittici che si rifiutano di partecipare alla Bastiglia telematica o gli integrati che sono sempre schierati, pronti a cogliere la prossima rivoluzione?

Il trend indica che gli integrati, che marchiano a suon di bit l'icona chic degli apocalittici, stanno conquistando terreno. Mentre gli apocalittici, quelli arroccati nell'Aventino dell'ipertesto, quelli che obiettano lo sviluppo e la ricerca a priori, sono sempre meno. Ma continuano la loro battaglia con gli occhi chiusi. Perché non vogliono guardare. Hanno paura del cambiamento. Conservatori di una generazione alle corde.

E' inutile però cercare chi ha ragione e chi ha torto in questo dilemma perché la realtà è una sola: anche gli apocalittici si integrerebbero. Se sapessero, se non avessero paura di guardare al di là. Se non rappresentassero una generazione spuntata. Come in molti stanno facendo. Trascinati dal senso dell'hi-tech.

domenica, agosto 06, 2006

Sprite

Debora aveva le occhiaie scavate quella mattina. Era agosto ma faceva un insolito freddo. Fuori la finestra un aereo planava mentre stormi di rondini procedevano nel senso inverso. Era stato un momento brioso, quella notte, appena messa alle spalle. Era tornata a scrivere e a provare ebrietà e fierezza. Non accadeva da tre anni, da quando aveva vinto il premio “Danza di notte con le parole al disarmo”. Quei versi l’avevano sdoganata nell’Olimpo della letteratura che conta, quella delle feste a suon di martini e olive, di gonne bianche, di tovaglie di seta e bicchieri a cono. Ai primi tempi le era andato a genio quel nuovo ruolo, ritagliato per uscire dagli inferi di un’adolescenza combattuta, matita e scrivania pronte ad accogliere idee fruttuose. Ma era durata pochissimo. Si era presto stufata del circolo, di dizioni sdolcinate che profanavano la spontaneità dell’arte e di raccattapalle sciolti, in libertà.

Quella mattina sognava un viaggio per l’Alabama. Così avrebbe voluto festeggiare quell’estatico ritorno con se stessa, quel conciliabolo fortunato di saggezza. Quella così sincera e sboccata notte. Avrebbe fatto violenza su un passero se lo avesse incontrato. Piena di energie, avviluppata da un sincretismo nostalgico e da una foga di riscatto aveva acceso il suo vecchio portatile, quello che la aveva condotta nella setta degli scribacchini targati. La smania era durata un quarto d’ora, niente di più. Così le erano parsi quei voraci attimi di empietà. Aveva dato la stampa senza rileggere e poi era corsa alla finestra a guardare le stelle. Le sembrava che giocassero, che si spostassero, pedine di una scacchiera blu, serve luccicanti di uno sistema poco chiaro. Sfatta, si era coricata dolcemente sul divano. I capezzoli intensamente intirizziti.

Quando avevano bussato alla porta non aveva badato granché a quel robusto rintocco, nocche impazzite di un uomo ubriaco. Carlo e Claudine dall’occhiello, oblunghe strette di mano con contorni neri. Aveva aperto distrattamente. Claudine era corsa per il bagno. Carlo aveva iniziato il suo racconto. Avevano investito un uomo con la macchina, a duecento metri da lì. Guidava Claudine. Non avevano il coraggio di ripassare in quell’incrocio. Aveva ragione di ritenere che l’uomo fosse morto sul colpo. Claudine era nel panico. Non sapevano che fare ma, per intanto, cercavano un riparo fraterno. Debora non proferì respiro. Si diresse verso il bagno, aprì la porta, Claudine appoggiata al water con i gomiti sgraziati e un sarcastico abitino rosso con merletti blu. Era bella, pensò, ancor di più con quell’alone da assassina inadatta. Tornò da Carlo e gli chiese altri particolari sull’incidente. Mentre Carlo partì scevro di dettagli nuove nocche, dal basso, scossero l’atmosfera. Era Filippe, nano, il cassiere della farmacia del quartiere. Aveva lo sguardo assente, orbite pregnanti, una gilet verde scuro che, per via della fiacca illuminazione del corrimano, gli procurava una strana ombra sugli zigomi. Domandava perdono per la visita inaspettata ma non avrebbe potuto fare altrimenti. Chiese di crederlo sulla parola mentre varcava la soglia con delle scarpe mal adagiate. Debora lo guardava con l’interesse e il distacco con cui una mamma guarda il proprio figlio, sporco di fango, dopo una partita di calcio. Filippe portava un grosso orologio d’oro. Erano le 23:15.

La città sognava. Gli amanti stavano pregando, pensò, scalza e bionda, ciocche sulla camicia. Quella notte brulicava orrori. Carlo chiese a Filippe cosa gli fosse successo. Il cassiere estrasse un sigaro e voltò la testa verso il camino spento. Debora si soffermò a guardare il quadro di famiglia al centro del salotto. Suo padre, baffi curati, occhi nocciola che la fissavano.
Claudine rinvaghì e fraternizzò presto con il nano che le porse il sigaro. Debora, con un ebete sorriso sul volto, tornò al vecchio portatile. Il foglio, accartocciato sulla stampante, disegnava una U nel vuoto.

Anime, teli d’Oriente
occhi dolci di cerbiatti desti
pose felici in un parco di mandorle.

Villaggi illuminati di un’isola
cori che, in frottole, plaudono nel deserto.
Fari paonazzi nell’Atlantico
Io, bozza tra le tante
tra i fantasmi della notte.