Internet e Cina sono in guerra, fredda. Da un lato il più grande esempio di democrazia diretta globalizzata, dall’altro una nazione (grande quasi come un Continente) che di “democrazia” non vuole sentire parlare, né tantomeno permette che ne venga scritto. Una convivenza, difficile sì, ma ricca di opportunità. Per questo i numeri uno della Rete da tempo hanno messo gli occhi addosso alla tigre asiatica. E da tempo adattano il principio della democrazia diretta al totalitarismo di Pechino che, per quanto più aperta del passato (il Pil anche quest’anno crescerà del 9% soprattutto grazie alle esportazioni) applica ancora una rigida scure governativa sulla comunicazione. Nella filosofia del compromesso chi ne esce sconfitto, però, sono proprio i grandi nomi di Internet. Come Yahoo!, giudicato dal New York Times una spia orientale.
Sono stati infatti i piani alti del portalone a consegnare alle autorità cinesi il nome d un giornalista di 37 anni, Shi Tao, che è stato condannato a dieci di anni di prigione. Reo di aver inviato un’email ad un amico americano contenente il testo del diktat governativo ai mass media di vietare rievocazioni del massacro di Tienanmen del 4 giugno del 1.989. Finito nelle maglie della Rete, il documento è divenuto pubblico. E non poteva che essere così perché è questa la legge di Internet. Un passo falso, secondo Pechino, che è costato caro al giornalista “antisistema” che non ha potuto nemmeno essere difeso da un avvocato.
Questa volta la democrazia diretta ha perso. Ma la sensazione è che ormai la freccia è stata scoccata e, prima o poi, giungerà al suo bersaglio. E’ solo questione di tempo. Un’inutile resistenza. Anche alla Cina toccherà arrendersi democraticamente alla democrazia del web.
lunedì, settembre 19, 2005
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